La mattina del 10 agosto 1944, a Milano, i fascisti fucilarono in Piazzale Loreto quindici partigiani prelevati da San Vittore. I loro corpi furono lasciati per terra tutto il giorno, abbandonati sotto il sole tra le mosche, come monito alla sempre più riottosa cittadinanza.
Tra la folla che quel giorno passò per Piazzale Loreto c’era anche Giovanni Pesce, il partigiano gappista. Di quell’episodio scrisse così in Senza tregua, il suo bel libro di memorie sulla Resistenza:
«L’ultimo volto che vedo, abbandonando la piazza, è quello di un repubblichino, che ride istericamente. Quel riso indica l’infinita distanza che ci separa. Siamo gente di un pianeta diverso. Anche noi combattiamo una dura lotta, in cui si dà e si riceve la morte. Ma ne sentiamo tutto l’umano dolore, l’angosciosa necessità. In noi non è, non ci può essere nulla di simile a quello sguardo, a quella irrisione di fronte alla morte.
Loro ridono. Hanno appena ucciso 15 uomini e si sentono allegri. Contro quel riso osceno noi combattiamo. Esso taglia nettamente il mondo: da un lato la barbarie, dall’altro la civiltà».